Considerazioni di Bertelè su disruptive innovation e i suoi tre volti

Disruptive innovation ovvero la morte e la trasformazione del paradigma di business

Riportiamo in due tweet di Umberto Bertelè, del politecnico di Milano, i link collegati ai suoi articoli, parlano di considerazioni molto interessanti, su temi che seguiamo con passione, citiamo il primo pezzo, poi cliccando sul link dei tweet qui sotto riportati potete leggere entrambi gli scritti.

Le opportunità della disruptive innovation.
Interi settori dell’economia spazzati via in pochi anni, o completamente stravolti. È l’effetto dirompente dell’innovazione digitale, un big-bang che sta mietendo illustri vittime ma che è anche in grado di creare nuovi mercati altrettanto rapidamente, a volte anche con costi molto contenuti. L’analisi di Umberto Bertelè passa in rassegna i casi più significativi.

10 pensieri su “Considerazioni di Bertelè su disruptive innovation e i suoi tre volti

  1. HBR (Harvard Business Review) Italia ha recentemente affronato la Digital Business Disruption parlando di “attacco eversivo che le tecnologie emergenti stanno portando alle categotie ontologiche di spazio, tempo e soggetto”
    In vari capitoli, introducendo provocatoriamente neologismi nei vari settori, vengono affrontati temi diversi che vanno oltre la prospettiva di una pur importante trasformazione unicamente ingegneristica e tecnologica:

    1) Disruption “tecnontologica” che riguarda natura e scopo delle organizzazioni ma anche modelli e pratiche di business correnti: rimodellando (a) il rapporto tra spazio e codice software (si pensi a uno store che al mio passaggio mi invii un coupon sullo smartphone), (b) l’operazionalità del tempo digitale basato sul real-time delle macchine (non il mio) in grado di processare informazioni e servizi in millesecondi, (c) le soggettività computazionali emergenti tramite la codificazione dei soggetti umani in rete e l’introduzione di algoritmi artificiali con capacità di decisione e d’azione.

    2) Platfirm (fusione tra platform e firm) , considerando le organizzazioni come piattaforme ( Facebook, Ebay, Google, Uber, Airbnb, ma anche Nike) secondo cui le aziende agiscono per mobilitare attori diversi per ottenerne benefici e vantaggi di costi, investimenti, processi di learning, …

    3) Markething (incontro tra marketing e IoT): attraverso connessione costante, intimacy crescente, …in una logica service-dominant, oltre che esperienziale e di relazione. Marketing basato su automatizzazione, partecipazione (sharing economy), cocreazione (open innovation), augmented storytelling (mixando analytics e narrazione)

    4) Leadershift: cambiano i modelli tradizionali di leadership e decision making verso sistemi privi in buona parte delle funzioni manageriali (bossless), caratterizzati da self-management e social leadership; aziende guidate in molti casi da dati e algoritmi (l’ultima e definitiva interfaccia col mondo) piuttosto che dalle più tradizionali forme di esperienza, senso comune, intuizione, sensi e intelligenza umana

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  2. AISM e Marketing
    Ricollegandoci al neologismo”Markething” dell’articolo precedente, il Congresso Nazionale A.I.S.M. (Associazione Italiana Sviluppo Marketing) 2016 affronta le principali novità del settore:
    DIGITAL TRANSFORMATION: il marketing come elemento di innovazione e gene mutante in azienda.

    Come sta cambiando il marketing nell’era digitale? Come impattano le scelte di digital marketing nelle aziende e come queste ultime stanno affrontando i cambiamenti? Li cavalcano o li subisco?
    Ed ecco che il Congresso esplora quattro Percorsi Esperienziali per rispondere alle nuove domande della Marketing Strategy

    – Marketing & e-Commerce: Nuovi strumenti per migliorare il customer Journey
    – Analytics: Analytics ed insight per personalizzare l’interazione con i clienti
    – Mobile: Ingaggiare il cliente attraverso il canale Mobile
    – Customer Experience: Analizzare le emozioni. Un nuovo approccio al customer service

    Soffermandosi sul primo Percorso chiediamoci :
    “Siamo attrezzati per capire i comportamenti dei nostri clienti attuali e potenziali per raggiungere il singolo individuo, non solo emergendo dal “rumore di fondo” ma contribuendo efficacemente anche a ridurlo?”
    Si, a patto di soddisfare alcuni “desiderata” quali:
    1. “Progettare e automatizzare velocemente esperienze digitali consistenti per i clienti”
    Le soluzioni di digital marketing consentono di utilizzare, da una varietà di fonti, i dati sui comportamenti dei clienti, per informare e promuovere interazioni del cliente personalizzate quasi in tempo reale. Utilizzando queste soluzioni, è possibile creare un’identità univoca del cliente e fornire un’esperienza d’uso coerente e personalizzata attraverso più canali, come e-mail, mobile, web e social-for media, per aumentare le percentuali di conversione e il valore degli ordini.
    2. “Acquisire, qualificare e migliorare i lead”
    Le soluzioni di Lead Management consentono di gestire e migliorare i lead, ottimizzando il budget di marketing. L’analisi e la classificazione del comportamento dei potenziali clienti assicura tempestivamente lead di qualità al tuo team di vendita.
    3. “Comprendere in modo approfondito i motivi dei comportamenti dei clienti”
    La customer analytics può dirti chi sono i tuoi clienti, di cosa si occupano, cosa preferiscono e come o quando contattarli. Con queste informazioni, puoi creare esperienze personalizzate che favoriscono l’azienda e fidelizzano i clienti.
    4. “Collaborare con il proprio team per progettare e migliorare le esperienze del cliente”
    Le soluzioni per il Journey Design portano i marketer a collaborare, progettare e migliorare continuamente le esperienze cliente. Questo approccio esclusivo include interazioni online e offline, la possibilità di accelerare la progettazione utilizzando insights dei clienti e la flessibilità per creare esperienze d’uso personalizzate per segmento.
    5. “Acquisire e accrescere le relazioni con i clienti online e offline”
    Progettare, gestire e valutare in modo rapido ed efficace nel rispetto dei costi le strategie di comunicazione in base alle preferenze individuali dei clienti, monitorare i risultati attraverso tutti i tipi di canali, sia online che offline è oggi possibile grazie alle soluzioni di Omni-Channel Marketing.
    6. “Gestire dinamicamente contenuti, offerte e suggerimenti personalizzati”
    Le soluzioni per la personalizzazione in tempo reale consentono di coinvolgere maggiormente i clienti, condividendo offerte e suggerimenti personalizzati e tempestivi. Un’analisi più attenta dei clienti favorisce le percentuali di conversione e mantenimento, incrementando il valore dei clienti per l’intero ciclo di vita.

    La personalizzazione del marketing e dell’esperienza di acquisto on line e offline possono garantire il successo e il vantaggio strategico di un’azienda, sia nel B2C che nel B2B, concetti che ormai convergono nell’approccio Customer to Business.

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    1. Articolo interessante, ma di interpretazione difficile ancora per molti, inoltre non cita i social e l’uso di cui si potrebbe fare. oltre al livello di conoscenza da applicare ai nuovi strumenti.

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  3. Un altro contributo in preparazione al Congresso Nazionale A.I.S.M. guardando al terzo Percorso Esperienziale: il MOBILE, “ingaggiare” il cliente attraverso il canale mobile

    Cosa vuole oggi il cliente (fondamento del marketing)?
    1. il cliente vuole essere prima di tutto CAPITO, in termini di (a) personalizzazione (conoscenza del singolo individuo e delle sue preferenze in termini di gusti, interessi, canali di contatto), (b) contestualizzazione di evento (sia esso di vita, meteo o sociale), (c) localizzazione (non farmi avere offerte su Milano se oggi sono a Roma, fammi sapere di una offerta quando passo davanti ad un negozio che la pratica);
    2. il cliente vuole anche essere “ingaggiato”, stimolato, sentirsi parte di una comunità ed essere PREMIATO per questo (loyalty);
    3. il cliente vuole PARTECIPARE, essere attivo nella creazione della esperienza di brand (fino a diventare advocate, cioè raccomandare un brand ad altri).

    Per “ingaggiarlo” esiste uno strumento potentissimo: il device mobile, la tecnologia più invasiva nella nostra vita quotidiana con caratteristiche uniche.
    Mobile APP e Mobile Site rappresentano le tecnologie di elezione utilizzate per costruire, mantenere ed espandere la relazione con il cliente e la user interface e la user experience rappresentano i fattori chiave per il loro successo.
    I device mobili sono inoltre una leva fondamentale nell’approccio alla multicanalità e nella convergenza fisico-digitale, creando un nuovo modo di interagire coi clienti.

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  4. Riportiamo un articolo da “Prima Online Comunicazione”, semplice e divulgativo dei trend tech più vicini che supporteranno nell’anno in corso lo sviluppo delle varie nuove forme di Economy (smart, sharing, disruptive, circular, …) e di Lavoro (smart, agile, gig, …) con spunti comunque interessanti:

    Dall’invisible analytics alle stampanti 3D. Ecco i 10 trend tech destinati a cambiare le abitudini dei consumatori nel 2016 (INFOGRAFICA)
    In un mondo di consumatori sempre più connessi, Gfk ha individuato e analizzato quelli che, dal suo punto di vista saranno i trend tecnologici più importanti destinati a cambiare le abitudini dei consumatori nel corso del 2016. Dall’invisible analytics alle stampanti 3d, passando per i device indossabili, i pagamenti da mobile alle automobili connesse, ecco i 10 elementi analizzati all’interno del report Tech Trends.

    1) INVISIBLE ANALYTICS. Oggi i dati sono sempre più importanti e non a caso, spiega il report, tutti e dieci i trend presentati hanno a che fare in qualche modo con i dati e la loro analisi. I consumatori connessi lasciano numerose ‘tracce’ delle loro interazioni online con le imprese, da cosa ordinano quando fanno la spesa all’ora in cui usano l’home banking, dagli annunci che hanno visto ai marchi che amano. L’analisi di questi dati raccolti in maniera passiva, in qualche modo a ‘invisibili’, sarà sempre più fondamentale per le aziende che vogliono comprendere a fondo il consumatore e le sue abitudini.

    2) REALTA’ VIRTUALE. Il 2016 sarà l’anno dell’affermazione definitiva della realtà virtuale? Negli ultimi anni sono stati investiti milioni di dollari in questa tecnologia, con lo sviluppo di display montati sulla testa (HMD) per un’esperienza di gioco immersiva. Secondo le previsioni di Gfk, il mercato dell’intrattenimento sarà un banco di prova, che consentirà di creare maggiore consapevolezza sulle potenzialità della realtà virtuale, per poi eventualmente passare in futuro ad altri settori, come i viaggi, la vendita al dettaglio e l’istruzione. La stessa Facebook ha recentemente dichiarato di voler “costruire un dispositivo che consentirà alle persone di essere ovunque, con chiunque e in qualsiasi momento, indipendentemente dai confini geografici”. Un altro passo avanti verso una vera realtà virtuale.

    3) INDOSSABILI. Smartwatch, braccialetti fitness tracker, cardiofrequenzimetri e localizzatori GPS. oggi si parla sempre più spesso di dispositivi indossabili, ma come faranno ad affermarsi nel mercato di massa? Anche se il lancio di prodotti come Google Glass e Apple Watch ha incuriosito i consumatori, solo in pochi hanno adottato questi dispositivi di fascia alta. Al contrario, la popolarità di contapassi e fitness tracker – che rappresentano da soli circa il 58% del volume delle vendite di wearables in Europa – può fornire degli elementi utili sull’evoluzione di questo settore.

    4) SMART HOME. Secondo uno studio internazionale di GfK, il 50% delle persone pensa che le tecnologie connesse alla ‘casa intelligente’ avranno un impatto significativo sulla vita quotidiana nei prossimi cinque anni. Tuttavia, per essere davvero ‘smart’ la casa del futuro dovrà essere anche semplice e connessa, con tutti i dispositivi in grado di comunicare tra di loro. Al momento la situazione non è così idilliaca, a causa di un mercato frammentato e di numerose criticità in tema di tutela della privacy e protezione dei dati. Per sviluppare pienamente questo settore sarà fondamentale una maggiore collaborazione.

    5) DRONI. Nonostante l’attenzione crescente dei media, i droni non sono propriamente una novità. Ma grazie ai miglioramenti tecnologici e ai costi in diminuzione, oggi c’è la reale opportunità per questi veicoli aerei telecomandati di evolvere dal mercato dell’hobbistica a quello mainstream. L’utilizzo dei droni a scopi commerciali è già realtà – dalle riprese aeree alla mappatura del paesaggio, dalle consegne commerciali alla distribuzione di aiuti, fino all’agricoltura meccanizzata – ma le potenzialità di questi dispositivi non sono state ancora completamente esplorate.

    6) INTELLIGENZA ARTIFICIALE. Home Cube, Power Badge, RankBrain, Hound. Forse oggi questi termini non vi dicono molto, ma a partire dal 2016 potrebbero entrare a far parte del vocabolario della tecnologia di consumo. Secondo il Financial Times, “L’intelligenza artificiale è la tendenza più interessante negli investimenti in start-up dall’avvento dei Big Data”. Colossi come Apple, Facebook e Google stanno già investendo in maniera significativi in questo settore. E a breve potrebbe essere normale avere un assistente personale robotico basato sull’intelligenza artificiale.

    7) VIDEO. Il consumo di video negli ultimi anni è cresciuto oltre ogni previsione, e l’online sta rapidamente diventando il canale privilegiato per questo tipo di contenuti. Il consumatore connesso oggi può guardarecontenuti video su qualsiasi piattaforma e in qualsiasi momento, dai brevi clip sui social media, allo streaming di film e alle smart TV. Secondo le ultime previsioni, entro il 2019 circa l’80% di tutto il traffico internet dei consumatori sarà costituito da contenuti video. Un mercato in costante evoluzione e con un potenziale enorme per le imprese.

    8) PAGAMENTI DA MOBILE. I consumatori connessi sono sempre più propensi a pagare beni e servizi con il proprio smartphone. Nella realtà, però, la situazione è ancora frammentata: nei mercati maturi permane una certa resistenza, mentre in Asia e Africa c’è molta apertura nei confronti dei pagamenti da mobile. Nel corso del 2016, produttori e rivenditori dovranno confrontarsi sempre di più con questo tema, per riuscire a far fronte alle nuove abitudini di pagamento dei consumatori.

    9) AUTOMOBILI CONNESSE. L’idea della vettura connessa non è nuova, ma è solo negli ultimi cinque anni – con la diffusione capillare degli smartphone – che è diventata parte dell’esperienza quotidiana. Quasi tutti i produttori di apparecchiature e accessori hanno nel proprio listino dispositivi in grado di connettersi e offrire un’esperienza sempre più ricca per il guidatore. Un’opportunità da cogliere anche per le case automobilistiche.

    10) STAMPA 3D. Immaginate questa scena: la vostra macchina per il caffè si è rotta e avete bisogno di un pezzo di ricambio. Potete ordinarlo al produttore e aspettare che arrivi, oppure potete scaricare le istruzioni per la stampa 3D dal sito ufficiale e fare tutto in casa in pochi minuti. Anche se non è ancora entrata a far parte della vita quotidiana, la stampa 3D sta diventando una tecnologia sempre più accessibile per consumatori e imprese, grazie anche ai costi sempre più ridotti. Un mercato dal potenziale enorme, che nessuna azienda può permettersi di ignorare.

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    1. BIG DATA e LAVORO: le sfide della workforce analytics
      Emanuele Dagnino

      Durante una recente relazione alla conferenza “Building European Data Economy”, Günther Oettinger, Commissario responsabile per l’economia e la società digitali, ha ribadito come i data siano diventati «un bene di grande valore socio-economico», aggiungendo poi che è necessario «costruire un ecosistema innovation-friendly in cui le aziende private trovino i giusti incentivi per investire nella data economy». È d’altronde dalla Comunicazione della Commissione COM(2014)442 (dal titolo Towards a thriving data-driven economy) del 2014, che a livello di Unione si è riconosciuta la centralità dei dati per le prospettive di sviluppo economico.

      Come sottolinea la Commissione «i dati sono il fulcro dell’economia e della società della conoscenza del futuro», dal momento che la produzione di nuova conoscenza passa proprio dall’analisi e dallo studio dei dati finalizzata all’estrazione da essi di informazioni rilevanti. Mai come oggi c’è stata una così ingente disponibilità di dati: essi sono prodotti in tutti i contesti sociali e produttivi, in una mole tale da rendere inadeguate le tradizionali modalità di analisi. È qui che entra in gioco il fenomeno dei big data: le nuove tecnologie consentono di trattare questa ingente mole di dati simultaneamente e di acquisirne informazioni di grande importanza, che istituzioni ed aziende possono sfruttare nei loro processi organizzativi e decisionali (per una breve analisi di rischi e opportunità si veda G. Machì, Big data: possibilità e pericoli derivanti dall’introduzione in azienda).

      Non stupisce, quindi, che molte recenti analisi abbiano eletto i big data a fattore qualificante della trasformazione digitale del lavoro, insieme alla diffusione di internet e degli smartphone (C. DEGRYSE, Digitalisation of the economy and its impact on the labour markets, ETUI, Working Paper 2016.02) e che le aziende stiano destinando risorse sempre maggiori alla data analytics, al fine di utilizzare le informazioni derivanti per prendere decisioni nei diversi ambiti di operatività, dalle politiche di business agli aspetti organizzativi e di gestione del personale.

      Quest’ultima pratica, ovvero quella dell’utilizzo dei big data a fini di gestione delle risorse umane, viene definito, tra gli altri modi, come:

      WORKFORCE o PEOPLE ANALYTICS.

      L’idea è quella secondo cui l’analisi dei dati permetta non solo di conoscere al meglio il funzionamento dei processi produttivi e le performance dei lavoratori, ma anche di prevedere le potenzialità di un candidato o la possibile resa di un lavoratore all’interno di un determinato gruppo di lavoro o ancora i comportamenti futuri (es. possibilità di successo, assenteismo, tasso di retention). Dal momento che si tratta di una pratica in via di diffusione e che sempre più decisioni, tanto in fase pre-assuntiva quanto durante il rapporto, si baseranno su informazioni ottenute tramite l’analisi di big data, si ritiene importante cominciare ad interrogarsi su quali siano le caratteristiche di queste attività e su come esse impattino sui lavoratori e sulla normativa di diritto del lavoro e di tutela della privacy.

      È questa una esigenza che è già stata avvertita nel contesto statunitense, dove la people analytics ha avuto una diffusione precedente, come prova un primo interesse da parte della dottrina giuslavoristica ……, nonché da parte di alcune istituzioni.
      Da segnalare, a questo proposito, un recente convegno tenutosi presso la U. S. Equal Employment Opportunities Commission, dal titolo “Big Data in the Workplace: Examining Implications for Equal Employment Opportunity Law” (di cui è possibile consultare il resoconto per la stampa, oltre che le testimonianze scritte dei partecipanti).

      Quello che emerge da queste ed altre analisi sulla tematica è un quadro in chiaroscuro, dove all’analytics vengono riconosciute potenzialità non solo rispetto agli interessi delle aziende, ma anche rispetto a quelli dei lavoratori, rilevandosi al contempo i rischi insiti in questa modalità di management.

      Si sostiene, da un lato, che le analisi dei dati e la predictive analytics siano in grado di ridurre le problematiche connesse alla valutazione umana, che può essere influenzata da pregiudizi, consci o inconsci, promuovendo così maggiore oggettività nelle decisioni.

      Dall’altro lato, oltre a sollevarsi la questione, abbastanza ovvia date le modalità di queste operazioni, relativa al rispetto della privacy dei lavoratori o potenziali lavoratori (tanto con riferimento alla consapevolezza rispetto al trattamento quanto con riferimento alla natura dei dati raccolti e alla loro qualità), è necessario sottolineare come l’effetto antidiscriminatorio non debba essere sovrastimato.

      Si rileva, infatti, come un trattamento di dati così corposo possa essere volontariamente sfruttato per ottenere informazioni vietate al fine di orientare le proprie scelte e grazie alle potenzialità di analisi delle nuove tecnologie, potrebbe ottenere tale esito trattando dati che apparentemente non hanno correlazione con l’informazione vietata. Ma vi è di più: gli esiti della people analytics dipendono sostanzialmente da come il procedimento di analisi è impostato in tutte le sue diverse fasi, dalla selezione e raccolta dei dati agli output dell’analisi. In base alle modalità di costruzione del procedimento anche l’azienda che non abbia finalità discriminatorie, potrebbe inconsapevolmente introdurre bias nel processo di trattamento, che con un effetto a catena si riproporrebbero negli esiti, con effetti discriminatori. Per esempio, se si dovesse costruire un modello di dipendente, così da poter selezionare il miglior candidato per una posizione, basandosi sui dati di altri lavoratori che abbiano precedentemente coperto la stessa posizione, tale modello potrebbe intrinsecamente riprodurre caratteristiche che non sono relative alle attitudini professionali, ma più legate alla composizione del gruppo di riferimento, laddove vi sia un predominio – per esempio di un genere (uomini piuttosto che donne) – nel campione selezionato.

      Si segnala, ancora, la questione dell’affidabilità dell’analisi predittiva, dal momento che essa sembra tenere conto, in molti casi, più che altro di correlazioni, che non spiegano di per sé il rilievo del dato rispetto al modello costruito (si pensi all’analisi dei like su un social network).

      Di fronte a questo quadro, si ritiene quindi necessario approfondire quali siano i risvolti di tale pratica e quando essa possa definirsi legittima nel contesto interno, che pure presenta una disciplina lavoristica e di tutela della riservatezza più corposa rispetto a quella statunitense.

      Risulta, allora fondamentale domandarsi, quando risulti applicabile la normativa sulla privacy e in che modalità, tenendo nella dovuta considerazione il nuovo Regolamento Europeo in materia di protezione; quando possa entrare in gioco l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, così come recentemente novellato e quando il trattamento possa configurarsi come una indagine vietata ai sensi dell’art. 8 della stessa legge; e ancora quali siano le tutele offerte dalla disciplina antidiscriminatoria interna rispetto a tali pratiche. E questo limitandosi agli impatti sul piano individuale, ma il discorso potrebbe essere esteso alle decisioni che riguardano gruppi di lavoro o in generale l’organizzazione.

      Ma oltre a verificare lo status quo, risulterà imprescindibile interrogarsi anche sulla capacità della tradizionale strumentazione giuslavoristica di rispondere a questa ennesima espressione dello sviluppo tecnologico. Come intervenire su una discriminazione operata da un algoritmo? Chi ne è responsabile?

      Come ha brillantemente sottolineato Lawrence Lessig (L. Lessig, Code is Law, Basic Book, 2006), il diritto deve confrontarsi con il fatto che nel mondo cibernetico «code is law» (il codice è la legge) e che le strutture hardware e software che costituiscono il mondo cibernetico, ne dettano anche le regole di funzionamento.

      Ci sembra questa essere una indicazione importante: il concetto di data protection by design, fatto proprio dal nuovo Regolamento Europeo, recepisce questa indicazione, spostando l’attenzione dal momento della implementazione del processo a quello del design.

      Come questo rilievo possa essere colto negli altri ambiti di interesse dei big data è ancora da definire: il diritto del lavoro, al pari della contrattazione collettiva, si sono dotati di numerosi strumenti nella propria storia e dovranno essere in grado di rispondere alle nuove sfide, adattandosi o rinnovandosi.

      Emanuele Dagnino
      Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
      Università degli Studi di Bergamo

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  5. Riportiamo volentieri, riprendendo quanto emerso nel convegno Industry 4.0 tenutosi al Quanta Club a fine ottobre 2015, con la relazione del Dott. Seghezzi di Adapt:

    “SHARING ECONOMY e INDUSTRY 4.0: due facce della stessa medaglia che cambiano il lavoro

    INDUSTRY 4.0 e SHARING ECONOMY sono facce della stessa medaglia, non due mondi separati. Ancora poco se ne parla e quei pochi che lo fanno spesso rimangono in superficie, come se si trattasse di fenomeni distinti della modernità, senza tuttavia cogliere che sarà proprio la loro combinazione a dare luogo ai più importanti e radicali cambiamenti nel mercato del lavoro che conosceremo nei prossimi cinque anni.
    Sono diversi i segnali che indicano come queste due innovazioni si muovano in parallelo e, anzi possono essere complementari e richiamarsi a vicenda. Tutto si gioca sugli effetti “disruptive” della sharing economy, prendiamo in particolare il caso dei trasporti. È di pochi giorni fa una stima degli effetti della diffusione del car-sharing sul mercato dell’auto. Utilizzare un bene, in questo caso un automobile, mediante la registrazione su una piattaforma, piuttosto che acquistarlo e possederlo, è una delle forme che la cosiddetta “for profit sharing economy” può prendere, con molteplici sconvolgimenti nel mercato del lavoro.
    Il report stima che nei prossimi 5 anni a causa della sua diffusione il numero di auto vendute diminuirà di 550 mila unità tra Nord America, Asia e Europa. Un calo della domanda che non potrà che portare a un calo di profitti e a conseguenze gravi sull’occupazione del settore, già martoriato dalla crisi e in difficile ripresa, oltre che sottoposto a una grande competitività tra lavoratori dal punto di vista internazionale.
    L’utopia che la sharing economy sia un fenomeno confinato al mercato dei servizi e ai suoi occupati si scontra con la dura realtà che spesso questi stessi servizi si sostituiscono all’acquisto di beni, impattando sulla domanda manifatturiera. Tutto questo impone di spostare lo sguardo sul settore manifatturiero e sui possibili risultati che l’introduzione di Industry 4.0 può portare. Si stima che l’innovazione tecnologica verso sistemi produttivi automatizzati e intelligenti può portare a un calo dei costi di produzione, di mantenimento della qualità, di logistica e a decine di miliardi di dollari guadagnati grazie all’aumento della produttività. Ed è proprio su questo indicatore che si gioca la sopravvivenza della produzione di auto. Se diminuisce la domanda una delle modalità di restare sul mercato, oltre al taglio dei costi, è l’aumento della produttività ed è questo il legame tra la sharing economy e l’Industry 4.0. La diffusione dell’economia della condivisione impone un netto ripensamento del sistema manifatturiero e tutto ciò potrà avere un enorme impatto sull’occupazione e sull’organizzazione del lavoro. In primo luogo grazie ad una iniziale perdita di posti di lavoro, soprattutto delle figure di medio-basso livello, sostituite dall’automazione. Ma, in secondo luogo, con la necessità di una riqualificazione ed un investimento in capitale umano che, in Industry 4.0, deve indispensabilmente accompagnarsi a quello in capitale fisso. La produttività infatti non è data unicamente dall’automazione e da nuovi macchinari, ma dalla presenza di quelle figure specializzate che, oltre a garantirne il funzionamento, sono alla base di quelle dinamiche di personalizzazione dei prodotti e di incontro con le volontà dei consumatori che sole potranno far sì che chi oggi può evitare di comprare una automobile possa pensare di farlo. Per far questo occorre aprire i cancelli delle fabbriche ai ricercatori, spesso chiusi nelle cupe stanze delle università e condannati a progetti sterili.
    Ci troviamo quindi di fronte ad un possibile effetto domino, che parte dai servizi e, attraverso la necessità di innovare la produzione dei beni, porta a cambiare il lavoro nella manifattura. Uno scenario che può essere preoccupante, ma anche molto affascinante e stimolante. Accompagnare il cambiamento e non tentare utopicamente di fermarlo, o peggio negarlo, è la miglior risposta che un legislatore, le parti sociali e tutti gli attori interessati possano fare.

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  6. La nostra posizione, ormai nota da tempo, e’ favorevole ai due fenomeni sopra citati divenuti ineluttabili; vanno certamente governati, come tutti gli eventi ‘disruptive’ che in pochi anni stanno ribaltando i paradigmi dei consumi, della produzione e del mercato del lavoro. Soprattutto si modificano radicalmente le abitudini di un ‘prosumer’ sempre piu’ esigente e sofisticato che non vede piu’ nel possesso l’indice primario del suo status e qualita’ della vita ma nella propria capacita’ di adattamento a una economia in rivoluzione sempre piu’ agile, circolare e condivisa. Governi e leggi, anche in Italia, hanno avviato il processo di regolamentazione di questi fenomeni evitando vincoli e condizionamenti ideologici o veterosindacali, individuando alcune regole generali che ne favoriscano un sano sviluppo nell’interesse delle comunta’ nazionali e internazionali. Sara’ in definitiva il mercato con le sue componenti flessibili di domanda e offerta il vero grande protagonista che selezionera’ il buono e il cattivo secondo i virtuosi processi di autoregolamentazione che da sempre caratterizzano un’economia globale, competitiva e libera.

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  7. LA LOGISTICA SI ADATTA AI NUOVI PARADIGMI LAVORATIVI

    (White Pater da COR:COM)
    L’ufficio del futuro? Esiste già e rispecchia il nuovo mondo del lavoro
    Cambia il mondo del lavoro e cambiano necessariamente i luoghi dove si lavora, nell’uso e nelle dimensioni. Gli uffici di ultima generazione sono ecosistemi che rispecchiano un’evoluzione culturale nei tempi e nei modi di lavorare: hub polifunzionali, con servizi di ogni tipo, atti a favorire sinergie e a potenziare il business

    Cambia di conseguenza il modo di progettare: dall’edificio all’intero arredo del singolo ufficio. Sotto la spinta congiunta dell’innovazione tecnologica e della necessità sempre più pressante di contenere i costi, diminuisce costantemente il fabbisogno di metri quadrati ma, contemporaneamente, può e deve aumentare la qualità degli spazi.

    Dagli uffici condivisi ai business club, dai temporary office agli spazi di coworking fioriscono diversi modelli che aiutano a ripensare il mondo del lavoro, assecondando nuovi paradigmi di progettazione ma anche di socializzazione, all’insegna dello smart working e di nuovi ecosistemi di scambio a supporto del business.

    Un’analisi di quell’evoluzione che sta portando alla creazione di nuovi spazi di lavoro a supporto della produttività individuale e aziendale in cui occorre:
    a) ripensare i layout fisici e le policy orgamizzative in termini di funzionalità, sicurezza e benessere
    b) definire una specializzazione degli spazi di lavoro in base alle diverse esigenze professionali
    c) progettare ambienti con un occhio di riguardo al benessere e al comfort delle persone sul luogo di lavoro
    d) rimodellare l’ufficio secondo una logica che riesce ad abbattere i tempi e i costi portando maggiore velocità e più efficienza al business
    e) integrare tutte quelle tecnologie che permettono un utilizzo più efficace degli spazi, favorendo la collaborazione e la mobilità di dipendenti, colleghi, partner e clienti

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  8. DONNE e LAVORO
    Siamo stati sempre favorevoli alle donne inserite nel contesto lavorativo perché sostenitori delle loro grandi e particolari capacità specifiche che, secondo recenti studi, indicano in un notevole incremento del PIL l’effetto di una maggiore occupazione femminile.
    Certo finché il gap retributivo tra uomini e donne a parità di mansione rimane ai livelli attuali (- 15% medio per le donne), la strada rimane in salita.

    Riportiamo un articolo in inglese di HIRED pubblicato da HRDIVE sul gap in questione in USA (comprese le differenze raziali)

    “Women are paid up to 45% less than men for the same job, study says
    Men are offered higher salaries than women for the same work 63% of the time, according to a new Hired global report. “The State of Wage Inequality in the Workplace” found that companies pay women on average 4% to as much as 45% less than men in the same jobs — and these numbers haven’t changed since the company released its second annual 2017 report.
    Hired also discovered that 54% of women found out that they were being paid less than a male peer in the same role, compared to 19% or men who learned they were paid less than a colleague. Hired says a discouraging finding was that employers paid African-American and Hispanic women 90 cents for every dollar they paid white men in the same roles. However, white women could command a higher salary than black and Hispanic men.
    In looking at the gender gap across industries, the report shows that women in education technology received 10% less than men doing similar work, and women in the health and finance industries were paid 7% less than their male peers. Women at firms in Silicon Valley earned more on average than women in other U.S. markets. The wage gap was 8% in the San Francisco Bay area and 11% in Seattle, which had the highest gender gap.

    Dive Insight:

    Tuesday, April 10 is Equal Pay Day in the U.S., aka, how far into the year women must work to catch up to what men earned the year before. The Equal Pay Days for black women and Hispanic women are even further in the year. Without the engagement of employers, it’s likely the pay gap could continue unabated for years — even as long as 200-plus years, according to a recent World Economic Forum report.

    The lack of transparency over compensation may have helped perpetuate the wage gap. Unfair pay practices come to light when employees share information with each other, which is increasingly more likely to happen now that the stigma is lessened and various job sites have dedicated resources to revealing proper pay for certain jobs. Employers that try to keep workers in the dark about each other’s earnings risk becoming liable for pay discrimination once the information is disclosed. Transparency not only requires honesty — it also requires pay disparities to be flagged and eliminated.

    Employment experts believe it will take decades before the wage gap closes. But some companies are working on closing the gap now, as seen at Starbucks, Salesforce and Citigroup, partly due to the efforts of activist investors asking companies to report on their pay scheme.”

    NdR Per guadagnare quanto gli uomini l’anno precedenrte, le donne devono lavorare in USA fino al 10 aprile dell’anno successivo (equal pay day), sono previsti 200 anni ai ritmi attuali per arrivare alla parità ma …….. la trasparenza e la comunicazione relativi ai livelli retributivi stanno subendo una forte accelerazione e potrebbero di molto accorciare i tempi !

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